02 aprile 2020
APR022020
Le opere raccontano

Le opere raccontano

In occasione della chiusura degli spazi museali per l'emergenza Coronavirus, le nostre storiche dell'arte Maria Elisabetta Gerhardinger e Paola Bonifacio hanno dato il via a una serie di "visite virtuali", nelle quali le opere presenti nei Musei civici di Treviso si presentano a noi visitatori, raccontandoci il loro significato, la loro storia, i dettagli e le curiosità che le caratterizzano, permettendoci così di godere anche a distanza della loro grande bellezza.

"Natura morta con ventaglio" di Gino Rossi

1922 circa, olio su cartone, deposito eredi Spagnol.

Gino Rossi fu uno dei più importanti e talentuosi pittori che operarono a Treviso nella prima metà del ‘900.
Il dipinto analizzato, conservato al Museo Luigi Bailo, si discosta dai più noti e celebrati ritratti e paesaggi, e appartiene a un ciclo di nature morte realizzate a partire dai primi anni Venti.
Inizialmente, le nature morte di Gino Rossi dei primi anni Venti non furono apprezzate per nulla dalla critica, cui una fastidiosa, ricorrente abitudine, imponeva di mal sopportare in generale l’idea del cambiamento, considerando il nuovo come vera e propria “deviazione”.
Così, solo molto più tardi, e comunque dopo la sua morte, queste composizioni di Rossi, così lontane dai colori postimpressionisti dei paesaggi di almeno dieci anni prima, ottengono l’attenzione che meritano. Anzi, gli stessi detrattori riconosceranno infine al pittore, qui inteso a costruire sulla tela modelli ed architetture strutturati all’interno di rispondenze cromatiche quasi monocrome, notturne, iscritti in composizioni schematiche ricorrenti, un aperto carattere di pemanenza e necessità, un profondo senso di verità e rigore: “ …queste nature morte – scriverà Nino Barbantini nel 1943 – durano e dureranno, al di là dell’effimero, perpetuamente consistenti e normali”.

Gino Rossi (Venezia 1884 – Treviso 1947) pur nella sua breve, e in parte discontinua, attività artistica, chiusasi di fatto con l’internamento in manicomio nel 1926, è una figura chiave nell’arte italiana dei primi decenni del XX secolo, soprattutto nella stagione delle Mostre di Ca’ Pesaro organizzate da Barbantini, che fecero emergere figure di artisti fondamentali per gran parte del 1900, Da Arturo Martini a Moggioli, da Casorati a Boccioni.
L’esperienza, fin dall’infanzia, di un ambiente culturalmente stimolante e la scolarizzazione qualitativamente alta rispetto alla media dell’epoca (presso il collegio degli Scolopi a Firenze prima e il Ginnasio a Venezia, poi) si conclusero purtroppo per Gino Rossi alla morte precoce del padre (amministratore e consigliere del conte Enrico Bardi), nel 1901. Intraprese quindi un suo personale e autonomo percorso nella pittura, andando a bottega a Venezia da Wladimir Schereschewskj, presente alle Biennali insieme ad altri pittori russi, e quindi facendo riferimento a Hermen Anglada Camarasa che aveva ammirato proprio alla Biennale del 1905 e che raggiungerà poi nello studio di Parigi durante il primo viaggio del 1906-1907. Sia questo che il successivo viaggio nel 1909, sempre in Francia (Bretagna) e nei Paesi Bassi, immerse Gino Rossi - che si riconobbe soprattutto nella pittura post impressionista di Gauguin e del gruppo di Pont Aven - nel clima dell’avanguardia francese e nella intensissima pratica del disegno dal vivo di opere antiche e di arte orientale in tutti i musei di Parigi, fra cui il particolare il Guimet di Arti applicate, come lui stesso scrive a Barbantini e racconta anche il sodale Arturo Martini.
Il rapporto di Gino Rossi con i colleghi artisti e il mondo della critica d’arte veneta e italiana, per non parlare del pubblico, non fu comunque particolarmente felice neppure prima della Guerra - periodo in cui, dal 1910, visse a Burano e gravitò nel gruppo di artisti coagulatosi intorno alle mostre di Ca’ Pesaro. Negli anni Venti (dopo la sua fisicamente e psicologicamente drammatica esperienza al fronte e in prigionia) Gino Rossi sostenne, prevalentemente attraverso acuti interventi e lettere aperte su quotidiani e riviste, veri e propri conflitti con lo stesso Barbantini o con personalità influenti come lo scrittore Giovanni Comisso (Trevigiano e cugino del pittore Nino Springolo che invece a Gino Rossi fu sempre molto vicino), continuando a seguire e promuovere giovani artisti sia nelle Mostre d’arte Trevigiana sia nelle mostre di Ca’ Pesaro, a impegnarsi attivamente nell’ambito delle associazioni artistiche, a leggere e a studiare, nonostante una ormai cronica e sempre più grave difficoltà economica lo lasciasse senza mangiare ma anche senza tele e i colori.
La sua pittura nel frattempo si era portata da una tecnica a grandi campiture di colori saturi, spesso complementari (splendidi i verdi contrapposti agli arancioni e agli azzuri-viola), marcati da linee di contorno fluide e soggetti di paesaggio e ‘ritratti’, che sono ancora fra le sue opere più famose, a dipinti di nature morte, piccoli paesaggi e composizioni di figure in cui la linea di contorno non delimitava e conteneva più campi colorati (il cloisonnisme di Gauguin), ma piuttosto costruiva i volumi e la spazialità entro una tavolozza essenziale, come nella concezione di Cézanne e del Cubismo.
Di questa fase fa parte l’opera in deposito alla Galleria civica del Novecento da parte degli eredi Spagnol "Natura morta con ventaglio" (n.113 del Catalogo Menegazzi).
Caratterizzata da una finissima gamma di colori secondari e appunto linee che strutturano una spazialità decostruita - che si articola dal tavolo con gli oggetti in primissimo piano fino al paesaggio esterno oltre la tenda – quest’olio su cartone fa parte di un gruppo di nature morte che Gino Rossi sigla con il numero 6 stampigliato, come elemento interno al quadro, come se lui stesso fosse nell’opera. Vi ricorrono la bottiglia, il bicchiere a calice, la pipa, il violino, il libro aperto e in alcuni quadri i garofani, il ventaglio, l’alzata e la pistola. Una evoluzione molto lucida, che purtroppo non fu capita e insieme all’indigenza lo portò a un drammatico epilogo, isolandolo dal 1926 al 1947 nel manicomio di Treviso.


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