Il ventennio tra le due guerre, a cui ci introduce questa quarta sezione, porta l'attenzione su un periodo tragico e controverso che vide però fiorire una straordinaria stagione artistica, grazie alla quale esporranno a Treviso anche altri artisti da Venezia e da altri centri italiani.
Il cosiddetto “ritorno all’ordine” vedrà paradossalmente convivere e scontrarsi nuovi impulsi e geniali intuizioni da una parte, contro inerzie e censure dall’altra, in un dialogo capace di traghettare l’arte verso nuovi linguaggi.
Treviso vivrà appieno questo fermento: saranno undici le mostre organizzate fra il 1920 e il 1942 - dal 1927 il curatore sarà Giuseppe Mazzotti - che vedranno protagonisti gli artisti cui è dedicata questa sezione.
Incontriamo la bellezza e l’eleganza dei ritratti femminili di Lino Selvatico come Il Ritratto di Teresita Lorenzon, proveniente dal corposo lascito della famiglia, evasione idealistica di uno sguardo timido e sfuggente che ci incanta.
E Nino Springolo, qui rappresentato dai due ritratti di Piccola povera e di Gigetta e da due paesaggi “alla Cézanne”: Il fiume in primavera e Il Campanile di S. Maria Maddalena.
Lo affiancano nell’esposizione Giacomo Caramel con il Ritratto di Olga, Juti Ravenna con il paesaggio/natura morta La spiaggia, e Arturo Malossi, qui nell'olio su cartone Casa in collina, che mantiene una sensibilità cromaticamente espressionista.
Nella seconda metà degli anni '20 Bepi Fabiano, rientrato a Treviso dopo le esperienze cosmopolite di Parigi e Roma, interpreta più ordinati equilibri novecentisti in varie opere, quali Giovinetta con natura morta e il seducente Donne in maschera.
Chiude in primo piano la serie di schizzi a matita del maestro incisore Lino Bianchi Barriviera con Schizzi di paesaggio.
Al pianterreno nella sala di raccordo con quelle dedicate all'evoluzione di Arturo Martini dopo gli anni Venti, sono esposti di Giovanni Barbisan, a un giovanile Autoritratto e il grande pannello affrescato I rurali sono i nostri migliori amici, che l’autore ventiduenne presentò alla Biennale del 1936: una composizione costruita con il rigore tipico del regime, che guarda a una certa dimensione metafisica delle opere di Piero della Francesca, nella volontà di quegli anni di rifondare l'arte sui valori dei grandi maestri del passato.