Lo spirito dell'artista, che ha cambiato e rinnovato il linguaggio della scultura del XX secolo, rivive e ci guida in un racconto che si fa materia e forma e chiave di lettura della contemporaneità nel panorama artistico internazionale. L’itinerario ci conduce alle sale situate a est del chiostro, in corrispondenza al rinnovato giardino dalle atmosfere rarefatte: è questa oggi la preziosa cornice architettonica in cui possiamo ammirare la sezione monografica dedicata agli anni della piena maturità di Arturo Martini, con una scelta di capolavori sorprendente ed eccezionale del genio della scultura.
“L’arte non è interpretazione, ma trasformazione”
Le prime sale sono dedicate a I bronzi degli anni ’20, Piccola plastica e rilievi degli anni ’20, Disegno, grafica e pittura.
Qui possiamo ammirare opere fondamentali che testimoniano tra l’altro il fervido collezionismo trevigiano tradotto in molteplici lasciti al Museo.
Splendido è il bronzo La Pisana, dono di Maria Calzavara e di Natale Mazzolà, amici di Arturo Martini fin dalla giovinezza, sostenitori e collezionisti delle sue opere, donate ai musei di Treviso così come la loro “Raccolta Foscoliana”, alla Biblioteca civica.
Ispirata all'eroina letteraria delle Confessioni di Ippolito Nievo, La Pisana è sublime espressione di quel vortice di sensualità e grazia, sfrontatezza e fascino, che tanto avevano conquistato e ammaliato Martini. Questa fusione, firmata e datata dall'artista, fu creata appunto per i Mazzolà.
Sorprendente è anche il suo grandissimo interesse per il cinema che ritroviamo nella dolcezza e sintesi psicologica del volto di Lilian Gish, diva del muto a Hollywood, opera che l'artista stesso valutava come uno dei suoi più sensibili "ritratti”. E oltre un decennio dopo, ritroviamo la stessa forza e la stessa passione nella traduzione in scultura di Donna che nuota sott'acqua, ispirata a una scena del film "Ombre bianche" :fluttuante e acefala, si fa metafora di una incerta sospensione nel vuoto, ma che già vede il passaggio alla modernità.
Ma la grandezza di Martini, vertice indiscusso di ricerca e di espressione, è documentata anche attraverso le sculture in piccolo formato, come il Piccolo presepe in maiolica policroma, solo in apparenza opere minori: esse esprimono tutta la tenacia e la curiosità con cui l'artista ha sperimentato ogni materiale possibile e fungono da laboratorio per rielaborazioni successive, testimoniando l’adesione al movimento di “Valori plastici” di Mario Broglio.
"Un'opera d'arte è tale quando restituisce un respiro, un pieno dato dal vuoto che suggerisce".
Ancora, è alla luce del chiostro, in uno spazio silenzioso e sospeso, che si compie uno dei più poetici capolavori di Martini, La Venere dei porti, in una dimensione che ha a che fare col senso dell’attesa, della solitudine e della noia racchiusi nel malinconico nudo di una donna che aspetta "l'Amore". Acquisita dal Comune nel 1933, in occasione della mostra d'arte trevigiana, è una delle grandi terrecotte create nel periodo compreso tra la fine degli anni Venti e i primissimi anni Trenta e che costituisce il periodo di più alta ispirazione dell’artista e in cui fonde insieme, in un unicum rivoluzionario, le forme classiche (dall'arte etrusca e greca a quella dei maestri del Duecento e del Trecento) con nuove concezioni plastiche.
Il disegno, la grafica e la pittura sono le tracce di una ricerca parallela e complementare alla scultura, evidente nelle cheramografie (termine da lui inventato per stampe da matrici di“sfoglia” d’argilla) degli anni di Ca’ Pesaro e nella grafica “neomedievale” di soggetto religioso, a cui è dedicata l’ultima parte del percorso.
Instancabile sperimentatore alla ricerca del “vero”, alla fine degli anni ’30 Martini entra in una crisi personale e artistica molto forte che lo porterà a indagare in profondità sul mezzo plastico e a "riscoprire" la pittura e la grafica come mezzi espressivi autonomi rispetto alla scultura.